Esattamente venti anni fa ci lasciava The Voice, la voce d’America che nel corso della sua lunghissima ed inesauribile carriera ha venduto oltre 150 milioni di dischi. Ancora oggi, nelle sale di social dance non manca mai un pezzo di Frank Sinatra, quella musica con la quale sentiamo di avere sempre grande familiarità. Si potrebbero dire davvero tante cose su questo eclettico artista, potremmo partire da quella voce inconfondibile, dall’eterna giovinezza di quei brani che non passeranno mai di moda o dalla sua indole attraverso cui irretiva cuori di fan di ogni età.

Il suo successo è stato, e resta, difficile da eguagliare, basti pensare che nel solo decennio 1945-1955, ogni anno, almeno una sua canzone si piazzava al primo posto in classica tanto da diventare una delle voci più popolari della radio.

Ma andiamo per gradi. Questo preambolo è servito per introdurci direttamente in medias res; di origini italiane, quel giovane dai “grandi occhi blu” (da cui il soprannome “Ol’ Blue Eyes”) deve un po’ la sua “fortuna” al fatto che in seguito a un delitto d’onore commesso a inizio secolo scorso, la sua famiglia fu costretta a scappare dalla nostra penisola per rifugiarsi nella terra promessa.

Quel ragazzo che già a quindici anni sentiva il bisogno di cantare, espresse ai propri genitori il desiderio di rendere quella passione una professione a tutti gli effetti: se da una parte l’amata mamma Dolly, che non fu mai tenera con lui, si rassegnò nel sostenere questo sogno dall’altra, il padre (Antonio poi divenuto Anthony Martin Sinatra, originario di un paesino siciliano) si oppose a questo progetto e lo spronò invece a trovarsi un vero lavoro. Prima di diventare il cantante che conosciamo, infatti, provò a soddisfare le esigenze del genitore lavorando in una libreria, poi come operaio, ma senza abbandonare il suo più grande amore: il canto.

E così che è iniziata l’ascesa artistica di questo intramontabile personaggio, dai piccoli locali in cui si esibiva come “saloon singer” ai maggiori palcoscenici del mondo come l’assoluto Frank Sinatra.

Lo swing, lo stile ma soprattutto la voce di “Frankie” appassionarono ed entusiasmarono il pubblico, i nostri “paisà” emigrati ma soprattutto le ragazze che cascavano ai suoi piedi.

Musica, gangster, gioco d’azzardo e luci di Las Vegas: Frank entra in questo “circolo vizioso” che gli costerà l’appellativo di “amico dei mafiosi”, un po’ per il pregiudizio legato ai nostri connazionali che scelsero di attraversare l’oceano alla ricerca di fortuna, un po’ per le situazioni scandalose nelle quali era coinvolto (come per esempio l’accusa di molestie sessuali nei confronti della futura moglie Nancy Barbato) e, se vogliamo, anche per quel carattere che lo contraddistingueva (amava i festivi notturni durante i quali non mancavano mai bellissime soubrette o prostitute).

Nessuna vera sentenza però lo condannò mai del tutto anche perché l’immagine che è stata davvero consegnata alla memoria si lega al Frank-cantante più che all’Frank-uomo.

Parliamo perciò di un viaggio da Hobeken a Las Vegas, dall’ordinario allo straordinario, fino all’assoluto quando tra la fine degli anni cinquanta e inizi sessanta, prese vita il “Rat Pack” quel “branco di ratti” formato dallo stesso Frank Sinatra e da personaggi come Dean Martin, Sammy Davis Jr., Peter Lawford e Joey Bishop. Un ristretto gruppo di amici che come caratteristiche dovevano avere una certa predisposizione all’anticonformismo, il bere e la vita notturna; questo gruppo che nella sua fase iniziale vedeva tra i suoi componenti personaggi come Humphrey Bogart, Spencer Tracy o il produttore e impresario Sidney Luft, interpretò anche diversi film, tra cui “Colpo grosso” (1960), “Pepe” (1960), “Tre contro tutti” (1962) o ancora “I 4 di Chicago” (1964).

Si ricorda infatti che Sinatra fu una figura molto importante anche per il cinema tant’è che nella sua lunga carriera troviamo anche un Oscar, 21 Grammy e 2 Emmy.

Tra i suoi brani più celebri vogliamo ricordare colossi come “My way”, “Fly me to the moon” (registrata da Sinatra nel ’64 nell’album “It Might as Well Be Swing”), “New York New York” canzone scritta per l’omonimo film del ‘77, “I got you under my skin”, “Something stupid” o “Moon river” che fa parte della colonna sonora di “Colazione da Tiffany” con Audrey Hepburn.

Una vita affascinate la sua ma non mancarono le ombre in tutta questa luce; il cantante dei 297 singoli e dei 59 album in studio tentò il suicidio per ben quattro volte, scoraggiato da alcuni momenti bui della sua carriera o dalle vicende della storia d’amore con Ava Gardner o, ancora, fu costretto a pagare un riscatto di 240 mila dollari per il sequestro lampo dell’unico figlio maschio Frank Jr.

Una lunga carriera che non ha mai dato segni di cedimento, nonostante i ritmi frenetici, il successo, il whisky o i due pacchetti di sigarette che ha fumato ogni giorno per oltre settant’anni.

Nel ’96 il ritiro dalle scene per vivere gli ultimi anni in una casa sulla spiaggia di Malibu.

Gravemente debilitato prima da un ictus, poi da un presunto cancro, si spense il 14 maggio del 1998. Oggi lo abbiamo voluto ricordare così, ma ogni giorno lo vivremo ascoltando le sue canzoni.

«Fill my heart with song» Frankie, «and let me sing for ever more»…