Nonostante quello che abbiamo passato e vissuto in questo strano 2020, l’estate è arrivata indisturbata e con le lei il richiamo del mare. Lasciate le tute e i pigiami di questi mesi trascorsi in casa, in un forzato quanto indispensabile lockdown, è giunto il momento di sfoggiare i costumi da bagno e dare un colorito alla pelle ancora un po’ pallida.

Oggi ci sembra scontato mostrarci un due pezzi in spiaggia, ma non molto tempo fa, l’avvento del bikini creò non pochi scandali tanto da scatenare una vera e propria rivoluzione a livello sociale.

La cosiddetta “bomba anatomica” (nome con cui venne definito il due pezzi in rapporto alla “bomba atomica” che segnò il secondo dopoguerra), prese il nome dell’arcipelago colpito dalle nucleari; Louis Réard è il sarto che inventò il celebre bikini: l’illuminato stilista era un ingegnere automobilistico francese che intuì l’importanza di focalizzarsi sulla lingerie femminile. Réard arrivò alla grande intuizione partendo dall’osservazione di ciò che accadeva intorno a lui: primo fra tutti il fatto che le donne si arrotolavano i costumi ancora troppo coprenti per avere un’abbronzatura migliore.

Ecco che allora si pensò di ridurre il tessuto di quello che, di lì a poco, sarebbe diventato uno dei capi più discussi di tutta la storia.

Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e, già qualche tempo prima, lo stilista e costumista francese Jacques Heim, aveva lanciato l’Atome , il “costume da bagno più piccolo del mondo” che però continuava a coprire parti del corpo come l’ombelico.

Réard, ispirato da una parte dalle esigenze femminili e, dall’altra, mosso dalla volontà di creare qualcosa che fosse ancora più audace dell’invenzione di Heim, si lanciò nell’impresa di un capo che, come abbiamo detto, segnò un punto di svolta non solo nel mondo della moda, ma addirittura a livello sociale.

Il bikini venne presentato a Parigi il 5 luglio 1946: il costume progettato era composto da 4 triangoli la cui base era di soli 30 pollici quadrati su un tessuto che richiamava la carta di giornale (in una sorta di doppia provocazione perché già sapeva che l’ardito capo avrebbe catturato l’attenzione delle prime pagine della stampa). Il costume venne presentato in una piscina pubblica di Parigi con una piccola sfida anche nei confronti del “rivale” Heim perché Réard chiese agli skywriters di sorvolare la Costa Azzurra pubblicizzando il suo capo con la scritta “Più piccolo del più piccolo costume da bagno del mondo”.

La vera rivoluzione legata al bikini era rappresenta dal fatto che questo indumento era in grado di combinare libertà di movimento, bellezza (perché le donne potevano abbronzarsi di più e meglio) e seduzione.

Ma a questo punto ci siamo arrivati in un secondo momento perché, inizialmente, questo capo coraggioso e rivoluzionario, non ebbe vita semplice: basti pensare al solo fatto che Réard ebbe molta difficoltà a trovare una modella a cui fare indossare il bikini la prima volta. Così pensò di rivolgersi a una spogliarellista del Casino de Paris, tale Michelle Bernardini, la quale non ebbe grandi difficoltà a mostrarsi in pubblico in vesti un po’ succinte.

Il successo della Bernardini, di contro, fu tale soprattutto nell’entourage maschile tanto che, si vocifera, dalla presentazione la modella ricevette più di un centinaio di proposte di matrimonio.

Al contrario il Vaticano e i più conservatori, condannarono duramente il capo che venne perfino bandito in luoghi come Italia, Spagna, Belgio o Australia.

La grande svolta del bikini, però, arrivò circa un decennio più tardi la sua prima apparizione grazie a Brigitte Bardot che, nel ’56, si mostrò in due pezzi nel film “E Dio creò la Donna”. Da questo momento, numerose dive del cinema iniziarono a sfoggiare il due pezzi sul grande schermo, due esempi fra tutte: Marisa Allasio in “poveri ma belli” e Ursula Andress in “007 – Licenza di uccidere”.

Anni importantissimi, questi, per l’emancipazione femminile, segnati soprattutto da scelte come quelle di indossare capi rivoluzionari che permettevano di sfoggiare il proprio corpo, quindi le curve che per anni erano state nascoste da abiti lunghi e casti.

Il bikini, infatti, diventò un vero e proprio simbolo della pop culture e della liberazione sessuale degli anni sessanta. Insomma, pensate a tutti i bikini che sfoggiate oggi sulla spiaggia e pensate alla grande svolta storica e sociale che innescò, proprio come una bomba, quel “piccolo” capo audace.