È ripartita la scuola… non con poche difficoltà visto il momento che stiamo affrontando.

Ma torniamo indietro di qualche anno, agli anni dei nostri balli: avete mai pensato a come si andava a scuola cinquanta, sessant’anni fa? Delle cose sono rimaste immutate altre, invece, sono cambiate profondamente. Bisogna innanzitutto partire dal concetto fondamentale secondo cui, l’istruzione è stata una potente alleata della costruzione della nazione. Gli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale possono essere considerati come un vero e proprio spartiacque epocale anche in termini scolastici.

Sì, ma cosa venne fatto, concretamente per l’istruzione? Imparare a leggere e a scrivere non fu prerogativa solo dei bambini…oggi ci sembra cosa scontata, ma sessant’anni fa c’erano anche molti adulti che non erano mai stati sui banchi di scuola.

Un importante strumento d’ausilio nella lotta all’alfabetismo, per esempio, fu il programma televisivo “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta” curato da Oreste Gasperini, Alberto Manzi e Carlo Piantoni. Il suo celebre conduttore fu Alberto Manzi docente, pedagogista, e scrittore italiano che, in tv, condusse delle vere e proprie lezioni di scuola primaria con metodologie didattiche piuttosto innovative rivolte, soprattutto, a classi di adulti – o addirittura anziani – quasi del tutto analfabeti.

 

 

La trasmissione era promossa dalla Rai in collaborazione con il ministero dell’Istruzione e andò in onda, per la prima volta, il 15 novembre del 1960.

Sono gli anni del boom, anni di cambiamenti economici e sociali, anni in cui l’Italia divenne una delle maggiori potenze industriali. Gli italiani cambiarono, rapidamente, stili di vita, consumi, e a cambiare furono anche le città, i mezzi di trasporto, il concetto di tempo libero. Senza dubbio, infatti, si può dire che uno degli hobby preferiti dagli italiani, fu passare del tempo davanti alla televisione, un oggetto che divenne davvero di largo consumo. Il mezzo televisivo, pertanto, rappresentò anche un momento di ritrovo collettivo, dentro e fuori le abitazioni (non tutti potevano permettersi una televisione, quindi spesso ci si riuniva da chi ne possedeva una), e, al contempo, un potente strumento di comunicazione: sia per quanto riguarda la nuova civiltà dei consumi che per “educare” quella parte di popolo che, nonostante i progressi, era ancora analfabeta.

Nella scuola vera e propria, invece, almeno fino agli anni ’90, c’era un unico maestro che mandava avanti la didattica (uno per ciascuna classe). Negli anni Sessanta vennero introdotte delle riforme significative: tra cui l’abolizione della scuola di Avviamento al lavoro e la creazione di una scuola media unificata che permetteva l’accesso alle scuole superiori. Un cambiamento radicale avvenne anche nelle classi che iniziarono ad essere “miste” (maschili e femminili). Sono anni importantissimi questi perché iniziò a definirsi una “scuola di massa” che consentì anche ai figli delle famiglie dei ceti più umili, di poter accedere all’istruzione superiore.

I ragazzi andavano a scuola indossando il grembiule: diverso, nei colori, per i maschi (blu con il fiocco rosso) e le femmine (bianco con il fiocco rosa). Questa regola era importante anche dal punto di vista sociale, perché metteva tutti sullo stesso livello, senza nessuna differenza di status nell’abbigliamento tra il figlio del bidello e quello dell’industriale. Questo almeno valeva per le scuole elementari, perché alle medie non c’era più l’obbligo della divisa.

Il grembiule poteva essere anche nero, la scelta di questo colore dipendeva da due motivi: il primo, di senso pratico, era legato al fatto che lo sporco si vedeva di meno (soprattutto per l’uso del pennino e del calamaio) ma, ancora, per uniformare tutti i bambini (solo il direttore sapeva chi erano i non paganti a mensa)

I banchi erano di legno massiccio, inizialmente a due o più posti, con un punto preciso per il calamaio dove si intingevano i “pennini”.

Quante cose, sono cambiate da allora? Al di là delle riforme, dei contesti storici, dei periodi come quello che stiamo vivendo fatto di distanze e digitalizzazione, “scuola” continua a significare “luogo in cui si costruisce il proprio bagaglio culturale”. Ecco perché ne abbiamo bisogno, ecco perché non c’era vera ripartenza, dopo il lockdown, senza di essa.